venerdì 8 dicembre 2017

Lo svapo va in fumo? Un approfondimento giuridico

Il dibattito sul web sugli argomenti più caldi legati alla "riforma Vicari" è ben lungi dal risolversi. E in fondo questo è un bene, perché dal confronto nascono le idee e le strategie migliori.
Quello che io guardo con un po' di fastidio sono solo i commenti di chi si propone come depositario della verità, o si lancia in oscuri presagi: "Vedrete, vedrete...".

Sarebbe bello se avessimo leggi che:
- fossero scritte bene, nel senso di lasciare il minimo spazio fisiologico alle interpretazioni;
- perseguissero lo scopo prefisso con chiarezza e metodi trasparenti.
Purtroppo non è così, e quindi è normale che si alimenti un acceso dibattito sull'interpretazione delle norme; dibattito destinato, prima o poi, ad essere risolto nelle aule di un tribunale amministrativo o costituzionale.

Con questo articolo, vorrei contribuire costruttivamente a questo dibattito mettendo la mia professionalità a disposizione delle aziende e dei professionisti del settore che sentono di averne la necessità per orientarsi di fronte alle recenti novità normative, magari perché si affidano a consulenti che - per quanto professionalmente molto validi - non hanno una conoscenza specifica di questo settore. Questo articolo di approfondimento deve però costituire solo un punto di partenza, su cui confrontarsi con i propri consulenti di fiducia, al fine di attuare la migliore strategia operativa in relazione alle specifiche esigenze aziendali.



La normativa del settore è ancora in corso di definizione e potrebbe cambiare, ma vale sempre la pena approfondire certe tematiche: la conoscenza non va mai persa, e prima o poi ci può tornare utile.

Introduzione

Nota: potete tranquillamente saltare la lettura di questa sezione, a meno che non siate curiosi di saperne di più su che cosa faccio, come ragiono e perché scrivo... le cose che scrivo 😄

Di fronte a norme poco chiare, che disegnano scenari comprensibilmente ansiogeni, ci sono diverse reazioni: c'è chi vuole sapere come comportarsi "per non avere problemi"; chi nel dubbio sceglie volontariamente l'interpretazione più sfavorevole perché "tanto alla fine loro hanno il coltello dalla parte del manico"; c'è chi subito pensa a sotterfugi e scappatoie al limite della legalità, o addirittura prende in considerazione l'idea di violare completamente la legge, visto che "la legge è ingiusta".

Io sono dottore commercialista e ho un approccio che forse è peculiare della mia professione, perché ho a che fare quotidianamente con norme fiscali, che sono... detestate da tutti i contribuenti per principio. 😏 Il mio approccio è semplice: la legge va rispettata, rigorosamente, e le tasse vanno pagate, ma non un solo centesimo più di quello che effettivamente richiede la legge.
Inoltre, in questo campo è virtualmente impossibile "stare tranquilli" o "non avere problemi": anche se si rispettano puntualmente tutte le norme, questo non vieta agli organi competenti di effettuare un accertamento e di contestare eventualmente il comportamento del contribuente, che dovrà difendersi in giudizio (e se ha ragione, il giudizio lo vince).
Pertanto, la mia strategia di fronte ad una nuova norma è di attuare (o consigliare) un comportamento fiscale che:
- sia rispettoso della legge, senza sotterfugi o violazioni;
- limiti l'esborso a ciò che la legge richiede e nulla più;
- sia fondato su un attento studio della norma e sia quindi sostenibile in un eventuale giudizio.

Tutti i miei interventi sul web, compresi gli articoli pubblicati su questo blog nei giorni scorsi, sono improntati a questa filosofia. Non sono depositario della verità e posso benissimo sbagliare, come tutti, ma mi sforzo di argomentare le mie valutazioni con rigorosi elementi giuridici e logici, tali da permettermi di sostenere la mia tesi anche in un eventuale giudizio; e non trovo spiacevole, anzi trovo stimolante, confrontarmi con chi ha opinioni diverse, a patto che fornisca un sostegno altrettanto ragionato alla propria tesi.

Detto questo, vorrei tornare su due argomenti che ancora infiammano gli animi sul web: tassabilità degli aromi concentrati e di PG/VG a zero, a cui si aggiunge un terzo argomento: il rischio che gli shop specializzati si trasformino in bazaar che vendono di tutto.
Avverto che sarà una trattazione un po' tecnica, ma certe volte è necessario prendersi tempo (e spazio) e sviscerare le questioni completamente. Questo non vuole essere un semplice articolo informativo: è una trattazione ampia, che possa costituire un utile riferimento giuridico a chi vuole approfondire (anche professionalmente) queste questioni. I commenti in calce all'articolo sono aperti a tutti, per eventuali opinioni diverse o ulteriori approfondimenti che dovessero essere necessari.

1) Aromi concentrati.

Sin dall'introduzione della prima tassa, nel 2013, sono sempre stato fermamente convinto che gli aromi concentrati non siano soggetti ad imposta di consumo.
Oggi, dopo diverse modifiche normative, pareri di AAMS e un'importante sentenza della Corte Costituzionale, confermo pienamente il mio convincimento.
Tutti sappiamo, a questo punto, che l'imposta di consumo è disciplinata dall'art. 62-quater del D.Lgs. 504/1995. Il comma 1, nel testo vigente dal 1/1/2015 in poi, stabilisce che "i prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati sono assoggettati ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico".
E il successivo comma 1-bis specifica che "I prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide, contenenti o meno nicotina [...] sono assoggettati ad imposta di consumo in misura pari al cinquanta per cento...".
Un vero pastrocchio, causato dal fatto che il vecchio art. 1, giudicato parzialmente incostituzionale, andava eliminato e riscritto; ma invece il Legislatore l'ha voluto mantenere, per quanto menomato, per garantirsi il diritto (mai esercitato) di riscuotere coattivamente l'assurda imposta su hardware e accessori in vigore fino al 31/12/2014.
Gli aromi concentrati rientrano nella definizione dei liquidi soggetti ad imposta contenuta negli articoli 1 e 1-bis? Vediamo.
Gli aromi sono indubitabilmente "costituiti da sostanze liquide"; non contengono nicotina, ma contengono comunque "altre sostanze". Ma sono "idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati"? Si possono considerare "prodotti da inalazione"? Secondo me, no.
Per essere inalabile, il liquido deve in primo luogo essere vaporizzabile; è vero che se mettessimo un aroma concentrato in una e-cig il liquido verrebbe vaporizzato, ma -anche a voler sorvolare sul gusto disgustoso, che già di per sé ci dovrebbe portare a considerare questo liquido "non inalabile"- per quanto tempo il liquido rimarrebbe vaporizzabile? Tre tiri? Quattro tiri? Dopo poche vaporizzazioni, l'elevata concentrazione di sostanze aromatiche renderebbe la resistenza inefficiente, bloccando la vaporizzazione. Tre-quattro tiri sono sufficienti a sostenere che il liquido è vaporizzabile? Io direi senz'altro di no, e quindi l'aroma concentrato non è nemmeno inalabile.
Come se non bastasse, la norma richiede che i prodotti, per essere tassabili, devono essere "idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati". Il consumo dei tabacchi, per sua natura (legata all'assuefazione) è continuativo nel tempo; quindi qualunque prodotto sostitutivo deve poter essere utilizzato in modo continuativo: un singolo cerotto alla nicotina non costituirebbe un'alternativa al tabacco, se non fosse possibile sostituirlo periodicamente con uno nuovo.
L'idea che un aroma concentrato possa essere inalato abitualmente ed in modo continuativo, così da sostituire il consumo di tabacco è insostenibile: non solo perché tecnicamente la vaporizzazione ha breve durata (a rigore, l'utilizzo di questo liquido danneggia l'e-cig), ma anche perché il gusto sgradevole lo renderebbe intollerabile al palato in breve tempo.

Il Direttore di AAMS, nella sua nota Prot. 65527 del 23/06/2015 non si è certo posto tutti questi problemi tecnici e... sensoriali. In risposta al preciso quesito se aromi e basi neutre fossero tassabili o meno, il documento, in perfetto stile "burocratese", dice tutto e non dice niente. Testualmente, AAMS afferma che sono tassabili i liquidi che "possono essere inalati, così come sono ceduti ai punti di vendita e da questi ai consumatori", aggiungendo che "non hanno rilievo eventuali miscelazioni che potenzialmente possono essere effettuate direttamente dai consumatori". Sulle basi, il senso è chiaro: una miscela di PG e VG, con o senza nicotina, è sicuramente inalabile così come ceduta ai consumatori, e quindi è tassabile. La stessa chiarezza non c'è, se invece si parla di aromi concentrati, perché non si chiarisce se gli aromi siano "inalabili" senza preventiva diluizione (che è irrilevante).
Io dico solo che se AAMS avesse voluto tassare anche gli aromi, la nota Prot. 65527 avrebbe avuto un testo molto più semplice: "Si, sia le basi che gli aromi sono tassabili", mentre invece la grande cautela utilizzata dal Direttore indica, senza ammetterlo esplicitamente, che gli aromi concentrati non sono tassabili.
Ma lasciamo per un attimo sospesa la nota AAMS e passiamo alla famosa Sentenza n. 240 del 2017 della Corte Costituzionale. La sentenza ribadisce che un liquido, anche senza nicotina, è tassabile solo se esso ha una "funzione sostitutiva del tabacco, impressa dal produttore al liquido inalabile senza combustione mediante apposito dispositivo".
La Corte quindi ribadisce che i liquido deve essere in grado di sostituire il consumo di tabacco e che deve essere inalabile -secondo il "progetto" del produttore- mediante apposito dispositivo.
Non solo non esiste un "apposito dispositivo" in grado di vaporizzare in modo continuativo un aroma concentrato senza danneggiarsi, ma in più nessun produttore commercializza i propri aromi concentrati per la vaporizzazione ed inalazione diretta, in quanto si tratta di prodotti espressamente progettati per essere diluiti. 
Questo concetto getta una luce definitiva anche sulla nota AAMS, che avevamo lasciato in sospeso: la destinazione impressa dal produttore (diluizione, non inalazione), aggiunta all'impossibilità tecnica di vaporizzare in modo continuativo l'aroma concentrato, rende "non inalabile" l'aroma, che quindi non può essere tassato.

Quello che scrivo è giusto o è sbagliato? Chi può dirlo... Però è di certo un'interpretazione rigorosa e plausibile della normativa, per di più aderente alla realtà (lo sappiamo tutti che gli aromi non sono veramente inalabili), che senz'altro può essere sostenuta con successo anche davanti ad un Giudice.

2) PG e VG senza nicotina.

Per PG e VG (e loro miscele) il discorso è molto diverso, perché si tratta prodotti vaporizzabili ed inalabili in via continuativa, anche senza alcuna preventiva diluizione o miscelazione; inoltre, almeno in astratto, si tratta di prodotti che potenzialmente hanno una funzione sostitutiva del tabacco (esistono vapers che abitualmente svapano base neutra, con o senza nicotina).
In questo caso, l'unico riferimento che abbiamo è la Sentenza n. 240, con cui la corte Costituzionale ammette la tassabilità sulla base della "destinazione impressa dal fabbricante".
L'ho già sottolineato con forza in un precedente articolo, ma vale la pena di ribadirlo nuovamente: la destinazione d'uso a cui si fa riferimento è quella "impressa dal fabbricante", non quella scelta dal consumatore o dal negoziante. A molti sembra strano, o addirittura impossibile, che un negozio di svapo possa vendere un flacone di PG senza tassa per il solo fatto che chi ha prodotto quel flacone l'ha immesso in commercio per usi diversi dall'e-cig. Ma la Sentenza 240 non lascia scampo ad AAMS: conta solo ed esclusivamente la destinazione d'uso stabilita dal produttore; le vicissitudini commerciali di un flacone di PG farmaceutico sono assolutamente irrilevanti, una volta che quel flacone ha lasciato i magazzini del produttore. Potrà essere rivenduto in un'erboristeria, in una farmacia o in un negozio di svapo e non cambierà proprio niente: il flacone di PG "generico" uscito dalla fabbrica senza tassa è, e rimane, liberamente rivendibile da chiunque senza tassa.
Lo so, sembra strano e assurdo anche a me; ma l'assurdità della situazione non è causata da un sotterfugio adottato dai negozianti di svapo: è causata da una legge scritta male che la Corte Costituzionale non ha voluto rimettere sui giusti binari.
Di nuovo, l'intassabilità di PG e VG "generici", non prodotti e commercializzati per uso specifico nell'e-cig, risulta dalla legge, come precisata dalla Corte Costituzionale; e chi mi legge può legittimamente dissentire, ma la mia rimane un'analisi della normativa rigorosa e plausibile che può essere sostenuta con successo anche in un eventuale giudizio.

3) Negozio specializzato o bazaar?

Anche se PG e VG ad uso cosmetico/farmaceutico non sono tassabili, rimane il problema della vendibilità di tali prodotti in un negozio di svapo.
Ogni attività commerciale ha uno specifico "campo d'azione" (tecnicamente definito dal codice Ateco), ma questo non vuol dire che il negozio non possa vendere altri prodotti. 
In primo luogo, bisogna tenere presente che la merceologia che caratterizza il negozio tiene conto solo di come i prodotti sono venduti, e non della provenienza di quei prodotti. Non conta se le batterie 18650 le avete comprate dalla Sony, che ne ha espressamente sconsigliato l'uso nelle e-cig: conta che voi le rivendiate come accessorio specifico per lo svapo, e quindi rientrano nell'oggetto principale della vostra attività. Ugualmente, non conta che il PG l'abbiate comprato da un'azienda farmaceutica: voi lo rivendete per uso "svapatorio" (tanto comunque non è tassato) e quindi rientra pienamente nella vostra "mission" d'impresa.

Ma anche se proprio questo discorso non vi convince (e non è mia intenzione convincere nessuno), tutto si riduce a verificare la prevalenza di una categoria merceologica su tutte le altre.
Se avete un negozio e avete sotto mano le statistiche d'incasso dell'ultimo anno, provate a fare un semplice calcolo:
- da un lato, sommate gli incassi di tutto ciò che è hardware e accessori, liquidi pronti (con o senza nicotina) e basi neutre con nicotina;
- dall'altro, sommate le vendite di PG e VG a zero, e aggiungeteci per tranquillità anche gli aromi concentrati (nel caso qualcuno volesse considerarli "aromi alimentari" non destinati allo svapo).
Posso facilmente immaginare che la prima somma sia maggiore della seconda, e anche di molto. Ho indovinato? Questo vuol dire che la rivendita di PG, VG e aromi è secondaria e marginale rispetto all'attività principale, che è la rivendita di prodotti specifici per lo svapo: siamo in presenza di uno shop specializzato, non di un bazaar.
Però va valutato anche qual è la percentuale dei ricavi derivante dagli "altri" prodotti: se parliamo di un 10%, non c'è nessun problema; se parliamo di un 30% allora questa merceologia, per quanto secondaria, non è tanto marginale, e quindi potrebbe essere opportuno aggiungere un codice Ateco secondario a quello principale: prodotti da erboristeria, prodotti cosmetici, valutate voi, aiutati dal vostro commercialista. Ma in ogni caso, il vostro rimarrebbe uno shop specializzato: fuori dal negozio potete mantenere l'insegna attuale, e nessuno percepirà la minima differenza rispetto a prima, perché di fatto non c'è nessuna differenza. I codici Ateco, le SCIA, le comunicazioni alla CCIAA si limitano a comunicare e descrivere ai vari enti l'attività effettivamente svolta nella realtà, non costituiscono né un'autorizzazione alla vendita né un limite a quello che il negozio può o non può vendere.
Di nuovo, non si tratta di trovare escamotage o trucchi per eludere la legge: nel modo più assoluto! Si tratta invece di applicarla, la legge, per come è scritta, con tutti i limiti e le stranezze che la contraddistinguono.

8 commenti:

  1. Sempre complimenti! Un articolo completo ed esaustivo.
    Un caloroso saluto.
    Gabriel

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  2. Ho un edicola che vende giornali e riviste con bar caffetteria dal 2012 vendo anche Sigarette elettroniche e liquidi vorrei sapere se dato che la vendita di sigarette e liqoudi non e prevalente cosa posso fare e se potro continuare a venderle

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    Risposte
    1. In base alla formulazione della legge che è finora trapelata (ma che ancora non è stata approvata), praticamente non succede nulla finché AAMS non emanerà i criteri di concessione delle autorizzazioni per i negozi; questi criteri dovranno essere definiti *entro* il 31 marzo 2018 (quindi, potrebbero essere emanati anche molto prima di quella data). Quando AAMS avrà emanato il provvedimento, posso dirti con ragionevole certezza che tu non potrai continuare a vendere liquidi, con o senza nicotina, in quanto ti manca il requisito della prevalenza; potrai però continuare a vendere tutto ciò che riguarda lo svapo diverso dai "liquidi da inalazione": potrai quindi vendere hardware, batterie, ricambi ed anche aromi concentrati e PG/VG puri (a patto che siano PG e VG ad uso generico, non specifico per lo svapo, quindi niente "basi per sigaretta elettronica").
      Ripeto comunque che la legge non è ancora approvata e quindi questa mia risposta potrebbe rivelarsi non accurata.

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    2. Aggiungo che è tutto da scoprire come AAMS regolamenterà i titolari di "patentino" per tabacchi, ovvero gli esercizi di somministrazione (bar, ristoranti, hotel) che hanno il permesso di vendere tabacchi; già oggi i tabaccai ufficiali hanno la facoltà di vendere liquidi per sigaretta elettronica, ma non mi è ben chiaro se questo permesso si estende anche ai titolari di "patentino". Forse AAMS chiarirà anche questo punto, entro marzo. Quindi, eventualmente, se le condizioni poste da AAMS saranno idonee, potresti pensare a prendere il patentino tabacchi, anche se francamente lo sconsiglio, perché il patentino ti legherebbe mani e piedi ad AAMS, che ti obbligherebbe a vendere non solo tabacchi, ma anche gratta e vinci e tutti gli altri giochi che molti esercenti (per fortuna) vorrebbero invece eliminare per evitare di alimentare situazioni di ludopatia in danno dei propri clienti.

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    3. Grazie per la risposta chiara ed esauriente.volevo sapere se tirando una parete in cartongesso ed avendo una porta esterna per fare entrare i clienti dei liquidi solo da lì.separando i due locali in pratica

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    4. L'attività prevalente va valutata considerando l'azienda nel suo complesso. Quindi, se si tratta di un'azienda individuale, si guarda al fatturato dell'intera azienda, ed è totalmente irrilevante se il locale dove vengono venduti i liquidi è separato o meno dal locale principale. Solo se le due attività fossero riconducibili a due partite IVA differenti si potrebbero conteggiare separatamente i due fatturati.

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    5. Si possono avere due partite Iva nello stesso indirizzo intestate tutte e due a me

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    6. Assolutamente no. Una persona fisica, o anche una società, può avere una sola partita IVA. Però nulla vieta (salvo rare eccezioni) che alla stessa partita IVA siano collegate diverse attività, contraddistinte da diversi codici Ateco.

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